Monitoraggio dei Diritti Umani nel Kurdistan Anatolico


La “guerra sporca” e la violazione sistematica dei Diritti Umani

Nel Kurdistan anatolico è ancora “guerra sporca” contro il popolo kurdo e le sue strutture democratiche. Una guerra condotta in violazione di qualsiasi normativa o convenzione internazionale che la Turchia abbia sottoscritto.
Vaste aree del Paese sono dichiarate zone di guerra, equivalenti a prigioni a cielo aperto, per milioni di persone. I villaggi kurdi tornano ad essere bruciati ed evacuati dalle forze armate turche con conseguente esodo di civili.
Riprendono le uccisioni indiscriminate di civili colpevoli soltanto di trovarsi in zone di guerra. Nelle città si registrano violenze e uccisioni di civili "colpevoli" solo di manifestare in qualche modo la propria appartenenza al popolo kurdo.

L'oppressione di un popolo e la situazione dei minori

La drammatica situazione dei minori kurdi rinchiusi nelle carceri turche ha assunto un rilievo internazionale. I recenti rapporti di Amnesty International (Giugno 2010) e della Commissione per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa delineano, con tutta la drammaticità del caso, una situazione insostenibile e ingiustificabile, dal punto di vista giuridico ed umano.
Sono oltre 4000 i minori sotto processo e centinaia quelli che ancora sono rinchiusi nelle carceri per adulti, colpevoli spesso di aver esclusivamente partecipato a manifestazioni di piazza o lanciato piccoli oggetti contro i blindati delle forze dell’ordine.
La recente riforma della legge anti-terrorismo (Luglio 2010), frutto delle campagne e delle pressioni internazionali e che porterà alla liberazione di alcuni dei minori incarcerati, non sana, a causa delle numerose deroghe che contiene, lo stato di violazione della Convenzione sui Diritti dei Minori, sottoscritta dalla Turchia. Rimangono ancora drammatiche le condizioni detentive e resta reale il rischio per i minori di essere incarcerati per avere partecipato a manifestazioni di piazza.

L'opzione della guerra contro la via del dialogo

Un “popolo in carcere”, che non è possibile ridurre la silenzio. In carcere, come gli oltre 2000 tra sindaci, amministratori locali, attivisti dei diritti umani ed esponenti della società civile che, dalla straordinaria affermazione elettorale del Partito Kurdo della Società Democratica (DTP) alle elezioni amministrative del Marzo 2009, continuano ad essere arrestati in massa. Carcerazioni coperte dal Segreto di Stato, tanto che i capi di imputazione sono stati resi noti soltanto dopo 14 mesi dal momento dell’arresto.
Ancora una volta, al dialogo si è scelto, da parte delle autorità turche, di dare spazio solo agli interessi del complesso militare e di alcune forze politiche già impegnate nella campagna elettorale per le elezioni nazionali del 2011. Elezioni alle quali i kurdi parteciperanno nel Partito della Pace e della Democrazia (BDP) che - dopo la chiusura del DTP - è divenuta la forza politica che rappresenta il popolo kurdo e la sua richiesta di diritti e di una risoluzione pacifica della questione.
Una richiesta alla quale aspira fortemente anche quella parte di popolazione turca che non si riconosce in uno Stato che viola i diritti fondamentali. La stessa guerra sporca contro la guerriglia kurda delle Forze di Difesa del Popolo (HPG) viene condotta con metodi brutali che non rispettano la Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri e la conduzione dei conflitti armati.

L'impegno degli operatori di pace

“Operatori di Pace - Campania”, tra le realtà presenti nella delegazione di solidarietà della "società civile di pace" italiana, a Dyarbakir, in missione di solidarietà internazionale, per il monitoraggio dei diritti umani del popolo kurdo e per l'interposizione nonviolenta contro le degenerazioni dello scontro con le autorità turche, si unisce agli sforzi perché la via del dialogo, del confronto e della pace non venga annientata; pertanto, insieme con la “Rete Italiana di Solidarietà con il Kurdistan”
- riteniamo il comportamento della Turchia tale che, impedendo al popolo kurdo di svilupparsi e di articolarsi dal punto di vista politico, finisce per perpetrare una guerra infinita ad uso e consumo di esigenze interne;
- riteniamo che la questione kurda non potrà mai essere risolta senza un impegno reale, da parte della Turchia, per una vera democratizzazione delle istituzioni e senza permettere al popolo kurdo di essere considerato come un attore politico col quale dialogare in maniera paritaria;
- riteniamo l’abolizione della normativa sull’antiterrorismo (che permette carcerazioni ed abusi in deroga al codice penale) uno dei passi fondamentali per giungere a tale democratizzazione;
- riteniamo necessaria, al fine di permettere una riconciliazione reale, l’adesione della Turchia alla Corte Penale Internazionale e la ratifica dello Statuto di Roma al fine di permettere di chiudere con la giustizia dovuta gli anni della guerra sporca e costruire la pace basandola su una seria assunzione di responsabilità verso le vittime degli abusi;
- chiediamo al mondo della pace, a coloro che ancora lavorano per rendere possibile un altro mondo basato sul rispetto, sul dialogo e sul riconoscimento reciproco, di non lasciare sola la società civile kurda.

La missione per il monitoraggio dei Diritti Umani

Il 18 ottobre si è aperto a Diyarbakir il processo contro 151 esponenti kurdi, rappresentanti della società civile e militanti, tra cui 12 sindaci e amministratori. Una delegazione italiana è stata presente dal 17 al 21 ottobre a Diyarbakir per partecipare al processo e presidi di sensibilizzazione con collegamenti dal Kurdistan si sono tenuti e si tengono a Roma e Milano.
Nel processo ai 151 imputati, le autorità giudiziarie hanno chiesto in totale 3.000 anni di carcere; per il Sindaco di Sur, in particolare, sono stati chiesti 25 anni, che sommati a quelli richiesti negli altri processi svolti, diventano 173 anni di carcere. E’ una situazione preoccupante perché gli arresti avvengono all’indomani del cessate il fuoco da parte del PKK. E’ utile ricordare che sono in carcere circa 2.500 persone, di cui il 60% sono dirigenti del partito BDP, i restanti sono sindaci, amministratori, attivisti ...
Questo processo è grave e importante perchè vi si palesa lo scontro tra la politica kurda per i diritti umani e l’ideologia ufficiale dello Stato turco. I diritti dei kurdi sono sempre stati negati, è stata negata la loro lingua e la loro cultura. Migliaia di giovani kurdi sono senza speranza, provocando azioni e reazioni difficilmente prevedibili. Spesso le persone che sono in carcere non hanno mai imbracciato un fucile, ma vengono giudicate ugualmente per partecipazione alla lotta armata. La maggioranza dei Sindaci arrestati ha il 60% dei voti da parte della popolazione. Il Sindaco di Sur, Demirbas, ha avuto il 66% dei voti.
Ciò che vogliono tutti gli amministratori sotto processo in questi giorni sono solo cinque, semplici, cose: pace, democrazia, libertà, eguaglianza di genere, rispetto per la cultura, la lingua, le tradizioni kurde. Per questo occorrono una nuova costituzione, l’abbassamento dell’attuale soglia di sbarramento elettorale del 10%, l’utilizzo della lingua materna in tutti i gradi dell’istruzione a partire dalla scuola materna.
Il Sindaco Demirbas ci ricorda che “la solidarietà internazionale è molto importante perchè se non c’è nulla noi siamo molto più soli”. Si è quindi manifestata una grande attenzione per le possibilità insite nel sostegno avuto da diverse Province e Comuni, oltreché dalla Lega Nazionale delle Autonomie Locali, in vista di future collaborazioni ed iniziative di cooperazione solidale. Leggi il Report del Progetto